Richmondo
Reg.: 04 Feb 2008 Messaggi: 2533 Da: Genova (GE)
| Inviato: 18-09-2008 12:42 |
|
Non mi dilungo troppo sulla performance della Kidman, qui effettivamente all'apice della sua forma, perché scriverei parole banali e di semplice elogio. Basti ricordare che riesce a trasmette inquietudine nell spettatore anche soltanto con la tensione dei suoi tendini e dei suoi muscoli facciali.
Davvero ottima.
Riporto piuttosto un intervento che scrissi su un altro forum e che certamente inserirò nel mio blog.
Mi piacerebbe, appunto, completare il discorso sul film in generale, su quest'opera fatta di atmosfere, luci ed ombre, che nella meticolosità della messa in scena, nella sua accurata dovizia di particolari, parrebbe - al pari di un Nosferatu di Herzog (ma prima ancora, di Murnau) - modellarsi sulla pittura, quella fiamminga, barocca, attenta all'effetto ottico, al coinvolgimento ed alle ombreggiature.
La cinepresa di Amenabar esce ed entra agevolmente fra interni ed esterni, evitando la morbisità sacrilega ed irrispettosa nei confronti del segreto che racconta, ma piuttosto dimostrando una sensibilità ed una doverosa reverenza per ciò che si cela dietro alle apparenze, che l'occhio umano può facilmente fraintendere, ma che proprio la pellicola tenterà di svelare. Il colpo di scena finale, dopo più di un'ora in cui "l'attesa di qualcosa di invisibile ed ignoto" padroneggia più della certezza dell'orrore materiale e conosciuto, aiuta e tira lo spettatore dentro il film, suscitando reazioni emotive, empatiche ed inducendolo a riflettere su più di un simbolismo accentuato dalla precisa forma della scena (proprio quel passaggio dall'esterno nebbioso, lattiginoso ad un interno nitido ma altrettanto ombroso significa una puntuale taduzione in immagine - o in sequenza di immagini - del concetto di "segreto ossessivamente cercato in una memoria che è rimasta bloccata e ferma nel nulla") e facendo emergere in lui più di un pensiero rivolto al messaggio che un'ottima storia riesce già a comunicare sulla carta stampata.
Inutile, quindi, indugiare più di tanto sul valore che lo stesso titolo del film assume, per cui gli sconosciuti, gli estranei, "gli altri" (The Others) non necessariamente sono da riconoscersi in persone esterne al nucleo famigliare, ma possono anche rivelarsi essere i protagonisti stessi (o l'essere umano, in generale, nella iniziatica e mistica scoperta di quella parte di se stesso che ancora non conosce).
Il bello di questo film, allora, è da ritrovarsi proprio nella cupezza di una fotografia che ondula e tremola fra la luce fioca della candela e l'ombra cangiante di ogni oggetto o persona all'interno della casa. E' rintracciabile nella simbolistica accentuazione dell'isolamento dei personaggi, del loro essersi posti nel "limbo della non conoscenza" (il "limbo dei piccoli" che la stessa Kidman cita, per bocca della protagonista che interpreta, il quale rappresenta proprio la grandezza della verità che grava sull'insignificanza della vita umana), avvolto da una coltre di nebbia candida e che rievoca alla mente un'idea di sospensione, tanto del tempo, quanto dello spazio, in cui proprio la mente, dei personaggi, che cova incubi e paure recondite, giace ferma e gelida come una lapide nascosta, in eterna attesa di essere raggiunta da una verità che essi stessi hanno il terrore di scoprire.
Amenabar punta molto sulla memoria, sulla dimensione rifuggita del ricordo doloroso, ma anche della perdita di immagini e di situazioni che proprio in quella nebbia non sono riscite a giungere a termine e a trovare un senso compiuto (il marito, dagli occhi persi nel vuoto, che ritorna a casa secondo un percorso obbligato, come la Cavallina storna di Giovanni Pascoli).
Quell'interno offuscato dal'ombra del dubbio e voluto da un rituale ed ermetico "agire per sigillare" (con porte e tende che sbarrano il passaggio a qualunque raggio di sole) pare per buona parte del film conferire un senso di protezione alla obbligata noncuranza dei protagonisti (specialmente i bambini - di cui lei, specialmente, dimostra un grandisimo talento recitativo, fra l'altro). E proprio la luce disturbante (che per ragioni di soggetto, ovviamente, rapresenta un elemento scenico davvero pericoloso, dato che i bambini sono fotosensibili), talvolta, in rare occasioni, smentisce quelle paure costruite sull'orlo dell'incertezza e della precarietà psicologica (come la magnifica inquadratura di due occhi che spiano la Kidman nell'oscurità, che la luce stessa svelerà poi - tramite un azzeccatissimo gioco ottico da parte di Amenabar - trattarsi di un particolare di un dipinto posto alle spalle della protagonista, di cui proprio la scarsa luminosità permetteva solo di intravederne quel particolare inquietante, generando terrore ed ambiguità). Ma molto più spesso, si rivelerà essere un'invadente (quanto doverosa) presenza sul set, intesa proprio come un personaggio - per come la concepisce il regista - capace di levare quella coperta di menzogne e di credenze artefatte, stupendamente modellate sulla verità/fantasia e sul fascino perverso dei miti e delle leggende popolari.
_________________ E' meglio essere belli che essere buoni. Ma è meglio essere buoni che essere brutti. |
|